Mistero e curiosità sull'Unitès d'Habitazion di Le Corbusier

Menabo: l'articolo sarà strutturato in varie parti, inizio con il parlare del Maestro Le Corbusier e della sua Unites d'habitation come modello per progettare le città del futuro. Poi parlerò del libro di Italo Calvino, accennerò il "road movie" nel cinema, infine ci immergeremo nel fantastico mondo dell'architettura Biologica.

Le Corbusier scrive: Progettare con equilibrio è il compito di ogni Architetto, gli elementi che devono essere presi in considerazione sono sempre "sole, spazio, verde". Se volete che la famiglia viva nell'intimità, nel silenzio,conforme alla natura....mettete assieme 2000 persone, prendetele per mano e attraverso un'unica porta andate verso 4 ascensori, ciascuno della capienza di 20 persone ...Potrete così godere di quiete e di un contatto immediato esterno interno. Le case saranno alte 50 metri. Bimbi, giovani e adulti avranno a disposizione il parco intorno all'edificio. La città sarà immersa nel verde e sul tetto delle case troveremo gli asili per i piccoli.

Continuiamo a parlare del libro di Calvino "Le lezioni Americane" per cogliere dei suggerimenti esistenziali per affrontare il nostro caotico periodo storico.

Dopo aver descritto il termine Leggerezza e Rapidità l'autore del libro parla della Esattezza. Vediamo che cosa dice in merito a questo termine, che apparentemente sembra banale nella sua spiegazione. Egli inizia a ricordare che la precisione per gli antichi Egizi era simboleggiata da una piuma che serviva da peso sul piatto della bilancia dove si pesano le anime. Quella piuma leggera aveva il nome Maat, dea della bilancia, il geroglifico di Maat indicava anche l'unità di lunghezza, i 33 centimetri del mattone unitario, e anche il tono fondamentale del flauto.

Esattezza vuol dire per l'autore tre cose:

- Un disegno dell'opera ben definito e ben calcolato

- L'evocazione d'immagini visuali nitide, incisive, memorabili

- Un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell'immaginazione.

 

L'autore fa un'acuta riflessione: alle volte mi sembra che un'epidemia pestilenziale abbia colpito l'umanità nella facoltà che più la caratterizza,cioè l'uso della parola, una "peste" del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l'espressione delle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze. Egli poi si chiede che forse le origini di quest'epidemia siano da ricercare nella politica, nell'ideologia, nell'uniformità burocratica, nell'omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione scolastica della media cultura. Non soltanto il linguaggio è colpito dalla peste ma anche le immagini. Viviamo sotto una pioggia ininterrotta d'immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato,come forza d'imporsi all'attenzione, come ricchezza di significati possibili. Gran parte di questa nuvola d'immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione di estraneità e di disagio.

Ma forse l'inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto:è nel mondo. La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie, informali, casuali, confuse, senza principio nè fine.

Domani continueremo a parlare di esattezza e scopriremo come Leopardi ha affrontato questo termine.

Continuiamo a scoprire altri mondi dell'interminabile linguaggio cinematografico, menzionando un'altro genere del cinema: il "road movie"; esso sta ad indicare l'essere sulla strada incessantemente e come tale è l'opposta della casa, del domestico, dell'interno. Questo mito,ironicamente,può essere letto come una sorta di capovolgimento della nozione di casa alla Le Corbusier; in cui le finestre a nastro possono essere lette come una metafora della successione dei fotogrammi; ciò che egli definiva "casa come macchina per abitare", nel road movie diventerebbe la "macchina come casa per abitare": Emblematici di questo genere sono sia il classico Easy rider (D.Hopper; 1969) con le sue corse motociclistiche per le grandi strade americane, Punto zero (R.Sarafin, 1971) e il più recente Thelma e Louise (R.Scott, 1991). Questi film sono significativi perchè esprimono una questione epistemologica centrale al Novecento:la perdita della casa. Il grande mito classico della casa è rappresentato naturalmente da Ulisse, che vuole a tutti i costi tornare a casa. Essa è la sua meta e il punto di orientamento nelle peregrinazioni per il mondo. Nel Road Movie,invece non c'è neppure nostalgia della casa;si va errando con il senso della provvisorietà di ogni residenza. Il tipo di viaggio che propone il road movie è, però, radicalmente diverso da quello di Ulisse, proprio perchè si configura come volontario allontanamento della casa e dal familiare; è un itinerare che si traduce nell'indagine e nella ricerca di qualche forma di libertà. Spesso il viaggiatore ne risulta punito con la morte che, da un altro punto di vista,invece,appare tutt'altro che una punizione, ma il simbolo del grado massimo di libertà, il vero viaggio nell'ignoto e lontano da casa, un passaggio che suggerisce proprio il senso di "andare oltre": Case inquietanti e familiari,case lussuose e modeste:pare che, ad aver capito tutto, sia stata la Dorothy del Mago di Oz (V.Fleming, 1939) che,dopo mille peripezie in compagnia di improbabili amici e lontano da casa,si sveglia per scoprire che era stato tutto un brutto sogno e che there is no place like home, non c'è posto come la casa.

 

07/02/2013

 

Fonte:

Cortese contributo dell'

Architetto Alessi Baldassare

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