The Secret la ricerca del Gran Haall nel progetto - Ogni volta che si progetta si è nei guai

Oggi vorrei parlarvi di uno strano Professore che mi ha colpito durante la mia formazione nella Facoltà di Architettura di Palermo.

Quando udii il suo nome ricordo che misi a ridere perché mi ricordava il mitico Carnevale di Sciacca.

Vi racconto questo anneddoto per farvi capire il perché.

All'inizio dell'anno accademico, si sceglievano i professori nei vari corsi e tra questi mi toccava scegliere il corso di composizione 1.

Anch'io cercai tra i professori quello che ritenevo più adatto alla mia formazione.

Ero indeciso tra il Prof. C. Ayroldi e il Prof. Carnevale che insegnava oltre a Palermo anche a Venezia.

Ora capite perché sorridevo. . . ! si chiamava Carnevale.

ll sorriso scomparve quando lessi una sua riflessione, che mi sconvolse. . . (ricordo che non riuscivo a mangiare).

Vi descrivo che cosa scriveva nei suoi appunti: le riflessioni sono frutto di una esperienza didattica che mi hanno portato a riflessioni pieni di paradossi e contraddizioni connaturati all'insegnamento dell'Architettura, e ho cercato di definire le mie piccole certezze.

Prendo come riferimento un numero limitato di

"Topoi", un particolare << movimento del pensiero>> la spirale.

Provo istintiva diffidenza (ma forse anche invidia), per quanti riescono a sviluppare << logiche lineari>>  in Architettura.

Sono al contrario indotto per mia natura, a ripercorrere riflessioni già fatte, tentare diramazioni, piccole rettifiche, variazioni; mi rendo conto che si tratta di un comportamento ossessivo, ma credo che rifletta, fatalmente, quello che è il mio atteggiamento verso il progetto.

Devo riconoscere che, nel progettare, non riesco a procedere con convinta regolarità, ma piuttosto, seguendo, un pò a strappi, una iterata circolarità: <<ritorni>> insistiti, pentimenti, azzardi, riproposizioni di formule collaudate; ad ogni <<giro>>, cerco di accostarmi un pò di più alle soluzioni, di definire meglio le ipotesi.

So bene che non è un lavoro preciso, ma non credo nella esattezza astratta, piuttosto nella approssimazione conquistata gradualmente. A parziale difesa di questo mio modo di procedere, dichiaro che questi << moti >> hanno il pregio della pazienza. Non dovrebbe esistere ostinazione senza pazienza.

 

Solitudine, incertezza, tolleranza.

E' giusto che tu lo sappia: ogni volta che si progetta si è nei guai, forse re lo hanno nascosto ma è così per tutti.

Magari non è sempre vero, però vorrei che fosse così, per tutti noi.

Sono convinto che questa sia l'unica, vera, buona ragione per progettare ancora: prendersi dei rischi.

Affrontare decisioni, scelte, da soli.

L'incertezza è la condizione più autentica, di fronte a problemi che, quasi mai, sono circoscrivibili, ma quasi sempre, rimandano ad altre questioni più precise, e creano, moltiplicazioni, altre incertezze, nuove opportunità, in un diramarsi di opzioni possibili che sfumano, sfocandosi, lasciandoci spesso confusi di fronte alla legittimità delle soluzioni progettate.

Chi non ha dubbi, chi sviluppa con sicurezza i propri temi, senza pentimenti, senza subire il morso dell'inquietudine, senza ripensamenti, rimpianti, rimorsi, costui è, quasi certamente, un architetto inutile.

Inutile perché produce un'architettura perfettamente prevedibile non solo dagli altri (e già sarebbe ben grave), ma persino da se medesimo, compiacendosi di questa

<< inesorabilità >>, come di un destino elevato, procedendo con le cadenze distaccate e ovvie che, sola, può dare una sicurezza arrogante e apatica. . . . .


13/03/2013

Fonte:

Cortese contributo dell'

Architetto Alessi Baldassare

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